La donna il sogno & il grande incubo: Parasomnia secondo noi.

Ve lo ricordate vero questo titolo? Forse chi ha qualche annetto sulle spalle si ricorderà certamente di questo album e del pezzo omonimo degli 883... E "che c'azzecca"? direte voi... Beh un po' parafrasando il significato originario di quel brano e relativo titolo, potemmo riassumere così i mesi che sono trascorsi dall'annuncio del rientro in formazione di Mike Portnoy (la "prima" donna), fino all'annuncio del nuovo album (il sogno) del Teatro dei Sogni, per poi arrivare ad ascoltarne le note ed interpretarne i testi ed il titolo (il grande incubo).

In questo articolo vi presentiamo, non una, ma ben due recensioni / track by track, firmate dai nostri collaboratori. Perché questo? Beh, semplicemente perché, a nostro parere, questi due scritti erano troppo belli e ben scritti perché ci mettessimo le mani per farne un taglia e cuci, modificandoli fino ad ottenere un unico articolo. Ma sopratutto perché ci offrono due punti di vista diversi sul nuovo album dei DT ma anche, in certi momenti, complementari, a nostro modo di vedere, completandosi a vicenda.

Quindi, non perdiamo altro tempo e corichiamoci nel nostro letto per farci cullare (forse...) dalle braccia di Morfeo.



"Sogno o son desto?"
Ci risiamo e questa volta parlare di loro avrà un sapore unico e particolare dato il ritorno a casa di Mike… l’eterno Mike… il fan più grande di tutti; lo ha fatto a suo modo con un album in cui sicuramente recita un ruolo da protagonista guidando la band in un viaggio che abbraccia ricordi passati ma che rilancia tanto anche la loro storia più recente.
Come già anticipato da Mike e JP, l’album è governato da una tematica di fondo sviscerata traccia dopo traccia e riguarda i disturbi che affliggono la mente in fase di addormentamento, durante il sonno o al risveglio, come per l’appunto succede in caso di “Parasonnia”. Ed è proprio citando il Dio dei sogni nella mitologia greca, che questo nuovo capitolo prende vita.

Si parte con una traccia strumentale In The Arms Of Morpheus, molto evocativa di tutto ciò che accade al corpo se coinvolto in condizioni come “sleep paralysis” o “false awakening” ecc. L’avvio pertanto è cupo e travolgente, musicalmente segue uno schema già ampiamente consolidato… una prima parte con riff incalzanti ed oltretutto “potenziati” dalle sonorità gravi della 8 corde che fa da preludio all’apertura del tema guida dell’album, melodico ed oserei dire onirico con JP e Jordan assoluti protagonisti.
 
In Night Terror, che sappiamo bene essere stato proposto come primo singolo si percepisce sin dall’incipit una chiara volontà di ritorno al passato. L’intro rimanda alla gloriosa As I Am ma la struttura del brano in sé sembra voler ricreare un continuum con Black Clouds and Silver Linings ricongiungendosi con schemi compositivi molto cari alla band; riff, ritornelli e le sezioni melodiche ne sono l’esempio. La presenza di Mike si avverte in toto ed il suo inconfondibile drumming è fortemente tangibile sin da subito. Il brano funziona e scorre via molto bene, ancor più in sede live dove ha dimostrato di avere un gran bel tiro creando sicuramente una comfort zone che riporti il fan a vecchie e consolidate abitudini.
 
A Broken Man nella sua struttura si discosta in parte dai loro schemi compositivi ma da un punto di vista sonoro risulta parecchio impattante; inizia con una cavalcata incessante condotta da una lunga introduzione di MP e JP supportata da imponenti linee di basso di JM ed ulteriormente sublimata da Jordan con una geniale progressione di epici accordi in sottofondo. Il brano scritto da James, narra di quanto possano essere vividi ed angosciosi gli incubi di un veterano di guerra divorato dal suo passato e tale inquietudine traspare nella scelta del cantato quasi a voler esprimere soprattutto nel ritornello il grido d’aiuto del protagonista. Un aspetto cruciale è nel tema principale in quanto cardine di tutto l’album e forse è proprio questo il motivo per il quale è stato scelto come secondo singolo ufficiale. Una nota particolare la merita JP che ispirato dalle sonorità “ELPeggianti” dell’hammond di Jordan emerge con un funambolico assolo dal sapore blues, un “manifesto” della pentatonica quasi a ricordarci quanto chitarristi come Steve Morse siano stati e siano tuttora parte fondamentale del suo background musicale.
 
Dead Asleep si presenta in maniera molto accattivante con un suono “spettrale” di piano a ripresa del tema di A Broken Man che disegna atmosfere noir tipiche di un film di Tim Burton per poi sfociare successivamente su un angoscioso “Si bemolle” come reale incipit del brano. La traccia tuttavia è delineata in maniera più lineare con una dimensione strutturale che a tratti diventa fin troppo ridondante nonostante sia governata da riff cupi e potenti (che a dire il vero sono un leitmotiv di tutto l’album) ma che lasciano comunque un senso di incompiuto. È deduttivo pensare che l’aspetto ripetitivo della canzone sia in realtà voluto a supporto del suo significato, un tormento psicologico per un uomo totalmente sopraffatto dal sonnambulismo ed incapace di poter distinguere tra sogno e realtà tanto da essere condotto a commettere un crimine a cui non può porre rimedio. Il muro di suono che emerge è notevole ed ancora una volta è indicativo di quanto sia incredibilmente abile Jimmy T nel rendere compatto un sound (ormai statement della band) che diversamente rischierebbe di essere troppo sbilanciato.
 
Con l’ascolto di Midnight Messiah scritta da MP, si viene catapultati nel loro passato, la clean guitar introduttiva può tranquillamente rievocare la “peaceful sedation” di A Nightmare to Remember mentre il bel riff principale sembra proprio un omaggio ad As I Am, un po' più condito. Tuttavia, anche questa canzone a giudizio personale, ricalca un po' quanto percepito con la precedente rimanendo in un contesto di linearità che non porta a nessun effetto “wow”. Nel finale JP ne diventa protagonista se non altro per ricordarci (per chi avesse dei dubbi) che è perfettamente in grado di suonare anche in tapping e l’interminabilità del suo assolo ne è la prova provata, ma resta comunque qualcosa che sembra slegarsi dal resto del brano quasi a volerne essere decontestualizzato. Globalmente è piacevole da ascoltare e quasi certamente in versione live avrà un bell’impatto ma in tutta onestà ci si sarebbe potuti aspettare qualcosa di più.
 
Proseguendo nell’ascolto ci si imbatte in un breve intermezzo strumentale Are We Dreaming?, creato con estrema delicatezza da Jordan quasi a voler rappresentare l’incertezza che si avverte in condizioni di dormiveglia; il suono degli “horns” (che ricorda un po' Regression di SFAM) traccia il tema melodico già introdotto in In The Arms Of Morpheus e viene avvolto da un bisbiglio di voci che riecheggiano nella mente del protagonista. Seppur breve questa composizione è estremamente intima ed evocativa, ben riuscita.
 
Bend The Clock è una canzone avvolgente, guidata da un bellissimo intro di chitarra preludio all’ingresso vocale di James che, tramutato in milite dei Ravenskill omaggia le delicate sonorità di The Astonishing con un cantato molto espressivo e comunicativo, rimanendo su quei registri vocali che lo hanno reso unico. Il brano è compatto, JR e JM si incastrano perfettamente nel suo contesto così come i cori di JP e MP ne rafforzano l’intensità. Si tratta di un uomo che tenta disperatamente di riportare indietro il tempo per non essere più afflitto da suoi disturbi e tale condizione viene perfettamente descritta con quella che è personalmente considerata una delle migliori ballad dai tempi di Wither ad oggi. Semplicemente grandioso l’assolo di Petrucci sia stilisticamente che tecnicamente.
 
I venti minuti finali dell’album rappresentano loro, The Shadow Man Incident è difatti una “summa” di ciò che oggi sono i Dream Theater. Il ritorno di Mike come già osservato, li ha più volte riportati indietro negli anni ma non è stato affatto dimenticato quanto realizzato in tempi più recenti. Un suono squillante di carillon introduce i potenti riff iniziali prima di ritrovarsi catapultati nel mondo di AVFTTOTW. Risulta impossibile non coglierne il chiaro riferimento dapprima con l’incipiente marcia guidata dal rullante e dai corni inglesi e successivamente nella sezione lenta in cui l’autocitazione diventa ancora più lapalissiana. Dopo un altalenante susseguirsi di richiami del passato si ritorna finalmente nell’iniziale tema guida di Parasomnia che questa volta viene anche cantato da James in maniera magistrale. Si torna a tonalità più luminose e ariose quasi ad augurarsi che il volto di questo temuto “uomo ombra” che soffoca la mente del protagonista, possa in qualche modo essere rivelato. Nella fase successiva si assiste ad un vero e proprio tripudio strumentale di notevole complessità tecnica. C’è ancora una volta il desiderio di esplorare generi differenti, in questa occasione il ruolo di “Pindaro” lo recita Jordan con un assolo di piano che rimanda quasi al latin jazz e sarà sicuramente molto “challenging” per chi è suo diretto fan. Nel finale si torna all’epicità che è marchio di fabbrica delle loro suite. Le sonorità sembrano ripercorrere l’ending di Illumination Theory, semplicemente commovente il cantato di James che con i versi conclusivi lancia JP in un assolo che suggella questo interminabile viaggio nell’introspezione della mente umana.

Ignazio "Iggy Vig" Verzicco

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Photo Credit: Mark Maryanovich



Parasomnia arriva nelle nostre mani portando sulle spalle due pesantissimi fardelli.
Il primo è fin troppo evidente: si tratta del primo album realizzato dopo il ritorno di Mike Portnoy e che vede ricostruita una formazione il cui ultimo lavoro in studio risale a ormai 16 anni fa.
Il secondo fardello, forse meno pesante, ma non per questo trascurabile, consiste nell'uscire proprio in corrispondenza del quarantesimo anniversario dalla nascita della band. E se questa ricorrenza può essere considerata una circostanza puramente simbolica, ribadisce ulteriormente quanto i Dream Theater abbiano alle loro spalle una carriera sempre più lunga e, di conseguenza, un passato sempre più ingombrante con cui, volenti o nolenti, sono costretti spesso a confrontarsi e a cui troppa gente vuole continuare ad ancorarli forzatamente. Pertanto, Parasomnia è un disco che si ritrova tutti gli occhi puntati addosso, sia quelli dei fan genuinamente curiosi di sentire il lavoro di questa riunita formazione e chi invece teme (o, malignamente, spera...) che questo lavoro possa rivelarsi un passo falso.
 
Quindi partiamo subito da quello che può essere considerata la curiosità più grande: Parasomnia porta con sé un ritorno al sound del passato? La risposta può essere un “sì”, ma va ovviamente contestualizzata.
Se qualcuno ancora spera che i Dream Theater possano tornare a pubblicare lavori col sound dei dischi degli anni '90 (che generalmente sono quelli più amati dai fan) allora rimarrà deluso, perché Parasomnia non ha nulla di tutto ciò. Ma più volte abbiamo ribadito la poca sensatezza nel continuare ad aspettarsi che dei musicisti così “maturi” vadano a ripescare il sound in cui sono cresciuti quando avevano tra i 20 e 30 anni, ottenendo l'unico risultato di rimanere eternamente delusi. Non a caso questi fan li definiamo, più o meno scherzosamente, “incontentabili”, perché il loro pregiudizio spesso ha impedito loro di apprezzare buona parte dei loro lavori usciti nel nuovo millennio.
Al contrario, questo album sembra voler attingere a piene mani nel sound dei DT dal 2002 al 2009 e sembra voler riprendere - anche a costo di autocitarsi in più occasioni - un discorso musicale che si era interrotto dopo Black Clouds & Silver Linings. In particolare, in questo album trionfano le atmosfere cupe e un sound generalmente più heavy metal che sinfonico, tipico appunto di album come BL&SL, ma anche Train Of Thought o Systematic Chaos.
 
Ci rendiamo conto che questa veloce descrizione potrebbe far storcere il naso ai fan dei DT più melodici o quelli che si erano affezionati al sound degli ultimi cinque album, ma dopo diverse settimane di ascolti, possiamo dire che Parasomnia, esattamente come altri lavori della band, è un album che ha bisogno di essere ascoltato ed assimilato prima di potersi “svelare” in tutta la sua potenzialità. Vi assicuriamo che, anche tra noi dello staff di YtseItalia, Parasomnia era stato accolto inizialmente con diverse perplessità, ma col tempo abbiamo dovuto ricrederci sul valore e sulla qualità di alcuni brani che inizialmente non ci avevano colpito particolarmente e che invece sono diventati parte dei nostri ascolti quotidiani.
 
Prima di descrivere le tracce, urge un ultimo chiarimento. Nelle settimane precedenti l'uscita dell'album è nata una discussione secondo la quale Parasomnia non sarebbe stato un “concept album”, ma un album “tematico”. Ma qual è la differenza tra queste due espressioni apparentemente identiche? La risposta è stata data in diverse occasioni da Mike Portnoy, il quale ha semplicemente ribadito la differenza tra i concept album in cui viene raccontata una storia (come Operation:Mindcrime, Scenes From A Memory, The Astonishing) e quelli in cui invece viene trattato uno specifico argomento su brani narrativamente slegati tra di loro (esempio supremo: The dark side of the moon). Mike quindi, ha semplicemente ribadito che Parasomnia non è un “opera rock”, ma è comunque un concept album a tutti gli effetti.
Detto questo, siamo pronti a gettarci tra le braccia di Morfeo e diamo il via a questo viaggio nelle paure e negli incubi più terrificanti.
 
IN THE ARMS OF MORPHEUS
Trattandosi di un'overture, in questo brano vengono presentati i vari temi musicali che si ascolteranno nel corso del disco. Più che descrivere i singoli temi, è molto più interessante soffermarsi invece sulle caratteristiche “cinematografiche” di questo brano strumentale, che ci fanno subito entrare nel mood del disco.
Il titolo di questa traccia è quantomeno fuorviante, dato che questa espressione solitamente viene associata al momento in cui una persona, al termine di una dura giornata, si concede finalmente il meritato riposo con cui rinfrancare la propria mente. Quindi era lecito aspettarsi un brano con sonorità sognanti, melodie aperte e vibrazioni “positive”. E invece niente di più sbagliato. Una serie di rumori ambientali (fortunatamente migliori e più realistici di quelli utilizzati in SFAM o The Astonishing), ci portano all'interno di una camera da letto, dove una persona si è appena coricata nel letto cercando di addormentarsi. Il brano vero e proprio si apre con un tema musicale che risulterà famigliare a chiunque abbia ascoltato i primi due singoli estratti dall'album e che sarà ricorrente in diversi punti del disco. Questo tema, che sembra suonato da un carillon, è composto da un arpeggio e da una melodia che restituiscono fin da subito un senso di inquietudine, facendo intuire che il sonno in cui si sta gettando il nostro sconosciuto protagonista non sarà né riposante né rinfrancante. Dopo pochi secondi la melodia inizia a rallentare e distorcersi, venendo pian piano sopraffatta da un lento riff di chitarra che, accelerando ad ogni battuta, sembra ricordare la camminata di quel mostro che si nascondeva sotto il nostro letto e che temevamo ci potesse aggredire ogni volta che spegnevamo la luce. Dopo un'ultima serie di suoni cacofonici, il brano esplode brutalmente con un potentissimo accordo dissonante che non lascia spazio a dubbi: questa notte non si dorme! Morfeo non è più nostro amico, ma è il traghettatore verso il mondo degli incubi, della paralisi del sonno, del sonnambulismo e di quella strana sagoma dalle forme umane che ci guarda silenziosamente dall'angolo della nostra stanza.
 
NIGHT TERROR
Primo singolo estratto dall'album, fin da subito sembra voler dire agli ascoltatori “Dove eravamo rimasti?” e, come detto nel primo paragrafo, riprendere il percorso musicale che si era interrotto nel 2009.
Per i Dream Theater era evidentemente importante che il primo brano che il pubblico avrebbe ascoltato da questa formazione, a distanza di 15 anni, stabilisse una sorta di continuità con Black Clouds & Silver Linings. Il brano utilizza una serie di riff, strutture e pattern che i fan dei DT non mancheranno di trovare “famigliari”, mentre i detrattori, immancabilmente, hanno subito parlato di ripetitività e mancanza di idee. Sembra quasi che i Dream Theater “riuniti” abbiano scelto di tornare sulle scene con i piedi di piombo, muovendosi nella loro comfort zone e non volendo aggredire subito il pubblico con brani più estremi. E' una scelta che si può considerare comprensibile o discutibile, a seconda della propria sensibilità… fatto sta che Night Terror, come è risultato evidente durante i concerti della prima leg del tour, risulta essere un brano che scorre dannatamente bene e che, senza strafare, assolve al suo compito.
 
A BROKEN MAN
Il brano si apre con una figura ritmica in 5/4 ripetuta più e più volte, in maniera ossessiva. Anche se il mix tende a mettere chitarra e batteria in primo piano, è importante ascoltare attentamente l'orchestrazione di Jordan Rudess, che, sebbene esegua una “semplice” serie di accordi (tutt'altro che banale e scontata) conferisce a questa intro, della durata di quasi due minuti, un'atmosfera epica e quasi cinematografica.
La prima strofa fa erroneamente pensare che il brano possa essere una continuazione di “Night Terror” della quale sembra riprenderne blandamente la melodia, ma è solo un'impressione. L'arrivo del ritornello, stravolge le aspettative, passando ad un tempo in terzinato e la cui melodia vocale riprende il tema con cui si è aperto l'album e che, lo scopriremo a breve, tornerà più volte nel corso del disco.
Il tema della privazione del sonno si dipana in una canzone la cui metrica in 5/4 si rivela pressante e angosciante per tutta la sua durata, tanto che il ritornello diventa un breve momento di liberazione.
Una delle principali critiche arrivate durante i primi giorni dalla pubblicazione di questo brano, riguardava le melodie vocali ritenute poco incisive e memorabili; ammettiamo che nei primissimi tempi, anche alcuni di noi si sono associati a queste osservazioni, soprattutto se paragonate a quelle della più orecchiabile “Night Terror”. Niente di più sbagliato! Il ritornello di ABM è probabilmente uno dei migliori dell'album, grazie anche al grandioso contrappunto musicale di Jordan Rudess che, ad ogni riproposizione di questo refrain, utilizza accordi, orchestrazioni e arrangiamenti leggermente differenti... cosa che, peraltro, farà per tutto il disco ogni volta che questo tema musicale farà la sua comparsa.
Sono dettagli che è molto difficile cogliere al primo ascolto, ma che si sedimentano nella nostra mente ogni volta che ascoltiamo questo brano e che, ad un certo punto, “svelano” il suo reale valore. ABM è l'ennesima dimostrazione di come i brani dei Dream Theater spesso hanno bisogno di diversi ascolti per essere apprezzati a dovere e che (non ci stancheremo mai di ripeterlo) ogni volta che esce un loro nuovo brano o un nuovo album, non è necessario doversi creare a tutti i costi un'opinione dopo il primo ascolto o dopo la prima mezz'ora, andando poi a riversarla sui social network.
 
Una piccola nota a margine se la merita la sezione strumentale di stampo vagamente “jazzistico” che, insieme ad altri punti del disco, fa sorgere il sospetto che alcune idee musicali utilizzate in questo album possano essere nate durante le sessioni creative di Liquid Tension Experiment 3. Ovviamente non sapremo mai se è davvero andata così, ma in fondo, non ci interessa nemmeno saperlo :)
 
DEAD ASLEEP 
Il brano si apre con un'ulteriore variazione della melodia di “A Broken Man” (che a questo punto avrebbe più senso chiamare “tema di Parasomnia” essendo ricorrente in buona parte del disco) che lascia subito spazio ad un inquietante arpeggio in tempo terzinato che si trasforma in un riff che ci riporta subito al sound di The Mirror e della 12 steps suite.
Il brano racconta di una persona che commette un efferato assassinio in preda al sonnambulismo, sottolineato dall'atmosfera tetra e cupa del brano che, nei suoi quasi 10 minuti di durata effettiva, non concede troppo spazio a variazioni o colpi di scena musicali.
Insieme alla successiva Midnight Messiah sarà un brano che potrebbe piacere ai fan dei DT più heavy metal, ma che, alle orecchie degli ascoltatori amanti del lato prog dei DT potrebbe risultare tra i momenti meno interessanti del disco.
 
MIDNIGHT MESSIAH
Qui l'intento della band di voler creare un ponte con il loro passato, finendo nell'esplicito autocitazionismo, appare ancora più evidente.
Nei primi due minuti di brano si sentono richiami musicali a brani come This Dying SoulRepentance, The Root Of All Evil e, al momento dell'ingresso di James, As I Am, di cui quasi sembra volerne riprendere la melodia. Con un ritornello che sfocia nel più classico thrash metal, il brano riporta istantaneamente ai tempi di Train Of Thought, che, come per il brano precedente, può essere un aspetto molto gradito ad una consistente parte della fanbase, ma ugualmente poco gradito ad un altrettanto consistente parte della fanbase. Le autocitazioni non si fermano qui: nel testo non mancano espressioni come “constant motion”, “this dying soul” e altre ancora più esplicite come “like an uncanny Strange Déjà vu” o “It’s calling me back to my home”.
Non sappiamo come reagirà la maggior parte dei fan, ma una cosa è praticamente certa: questo potrebbe essere il brano più “divisivo” di tutto l'album. L'altra certezza è che, ascoltando il riff iniziale di questo brano, è impossibile non immaginare Mike Portnoy che, durante i concerti, lo suonerà in piedi, picchiando il piatto con tutta la sua forza!
 
ARE WE DREAMING?
Si torna (finalmente) ad atmosfere più eteree ed oniriche, con un breve intermezzo strumentale in cui Jordan riprende il tema di Parasomnia e lo reinventa per l'ennesima volta, aggiungendovi in coda un'ulteriore tema che abbiamo già sentito all'interno dell'overture dell'album e che ritroveremo nel corso di The Shadowman Incident.
Per questo intermezzo, Jordan utilizza un arrangiamento a base di ottoni, che riesce a risultare solenne, ma allo stesso tempo con atmosfere vagamente “funebri”.
Su questo tappeto sonoro si inserisce quello che sembra un innaturale suono di campane (ma che potrebbe essere quello di un orologio a pendolo, pesantemente rallentato) ed un brusio di voci, per la maggior parte poco comprensibili; le uniche frasi che siamo riusciti a decifrare sono quelle che dicono “please stay”, “don't go”, “stay with me” oltre, ovviamente, alla “are we dreaming?” che conclude il brano.
Tutti questi elementi rendono difficile inquadrare il mood di questo breve interludio, che a tratti risulta molto rilassante (soprattutto dopo le due tracce precedenti), ma anche parzialmente angosciante… esattamente come se ci trovassimo ad attraversare quel sottile confine tra un sogno e un incubo, senza però sapere da quale parte dobbiamo andare.
 
BEND THE CLOCK
Che dire su questo gioiello? Bend The Clock è una power ballad meravigliosa, un raggio di luce all'interno dell'oscurità di questo album, che non potrà non far sobbalzare il cuore dell'ascoltatore.
Per chi saprà cogliere il riferimento, possiamo definire questo brano come la “San Junipero” all'interno di Black Mirror; per tutti gli altri, ci limitiamo a dire che è un brano che vi metterà in pace col mondo, qualunque cosa stiate facendo in quel momento.
Tutto è al posto giusto, non c'è una nota fuori posto o di troppo. Mike, Jordan e John (Myung) sono totalmente al servizio del brano, mentre i protagonisti assoluti sono James, con una performance tra le migliori degli ultimi anni e, soprattutto, John Petrucci, che ci regala un arpeggio iniziale da pelle d'oca e, sul finale, uno di quegli Assoli con la A maiuscola che vorremmo non finisse mai... e forse, proprio per questo il brano finisce con un fade out, facendoci sperare che non abbia mai fine, proprio come un bel sogno.
Tuttavia è incredibile pensare come un brano così sognante parli in realtà di uno dei disturbi più terrificanti che possano colpire una persona al momento del risveglio, ovvero la paralisi del sonno. Il protagonista, nonostante sia terrorizzato da questo disturbo (al punto di desiderare di poter piegare il tempo e non doverli rivivere ogni notte) riesce però ad affrontare questi momenti angoscianti con rilassatezza, con la consapevolezza che finiranno da lì a poco. O forse con la rassegnazione di chi sa che, anche volendo, non può urlare...
A prescindere dall'angoscia che regna nella mente del protagonista, Bend The Clock è uno di quei brani di cui è impossibile dimenticare l'emozione provata durante il primo ascolto. E se ascoltando questo brano non sentite un brivido lungo la schiena o la voglia di commuovervi allora significa solo una cosa: che avete un bidone dell'immondizia al posto del cuore.
 
THE SHADOWMAN INCIDENT
Siamo così arrivati al brano conclusivo, la cui durata di 19 minuti ovviamente stuzzica fin da subito la curiosità dell'ascoltatore e le sue aspettative.
La “monster epic” si apre con una melodia suonata da un carillon che, come ci hanno insegnato tutti i film horror, è lo strumento più dolce, ma anche più spaventoso ed inquietante che esista. E infatti, terminata questa melodia, che probabilmente vi ha spinto ad alzare il volume per poterla sentire meglio, il brano si apre con un vero e proprio “jumpscare” musicale che vi farà sobbalzare dalla sedia (noi vi abbiamo avvisato, eh!) con cui la stessa melodia del carillon ora viene suonata da tutta la band. Segue un breve intermezzo di stampo “militaresco” che ha scatenato una piccola diatriba tra chi (sempre in un ottica auto-citazionista) ci ha visto un riferimento all'intro di A View From The Top Of The World e chi invece l'ha ritenuta una citazione di Mars, the bringer of wars di Gustav Holst, composizione orchestrale molto usata nel mondo del progressive (dagli Emerson Lake & Palmer ai King Crimson, fino ai Symphony X) e che, tra le altre cose, è stata anche la fonte d'ispirazione della celebre Imperial March di Star Wars.
Il resto del primo movimento strumentale prosegue in maniera abbastanza classica, secondo gli standard dei DT. Sono passati poco più di 4 minuti e finalmente entra in gioco James che, a differenza di quanto succede generalmente nelle suite della band, entra in punta di piedi, con una melodia cupa, oscura e opprimente. Anche la sua voce è pesantemente filtrata, contornata da versi e voci incomprensibili.
Il brano descrive un bambino alle prese con quella che, ai suoi occhi, è la sua paura più grande: quella del mostro che lo osserva silenzioso dall'altro lato della stanza. Si copre la testa con il lenzuolo, cercando protezione da quell'essere che non è in grado di vedere, ma di cui percepisce la presenza. La seconda strofa descrive una situazione analoga, ma stavolta la protagonista è una bambina.
Terminata questa sezione, come abbiamo detto lenta e opprimente, il brano si lancia in un furioso terzinato che ci riporta ai tempi di The Glass Prison o In The Presence Of Enemies Pt. 2 in cui ci viene descritta la figura di questo Shadowman, definito come “demone della notte” pronto a nutrirsi delle paure della persona che sta dormendo.
Segue l'immancabile sezione strumentale, che sarebbe molto difficile - nonché inutile - descrivere, ma che risulta impreziosita da un assolo “spagnoleggiante” di Jordan Rudess e un paio di sezioni, come già detto più indietro, con delle vibes degne dei Liquid Tension Experiment.
Gli ultimi 4 minuti di brano sono il più classico manifesto dello stile Dream Theater, i quali (esattamente come accaduto in Night Terror) non vogliono in alcun modo farci uscire dalla nostra comfort zone e quindi ci danno esattamente quello che è lecito aspettarsi dal movimento conclusivo di una loro suite, come accade in Octavarium, In The Presence Of Enemies o Illumination Theory. Una riproposizione orchestrale del tema iniziale ci avvisa che ci stiamo ormai avvicinando alla conclusione del brano. Segue un ultimo, intenso, inciso di James LaBrie, che dopo aver invitato tutti i bambini a dormire con un occhio aperto e con la luce accesa, lascia spazio a John Petrucci che, dopo le emozioni regalateci con Bend The Clock, ha ancora nelle dita qualche nota magica che gli permette di deliziarci con un altro di quegli Assoli (A maiuscola, ricordate...) con cui zittire tutti quelli che osano ancora definire “fredda” la musica dei Dream Theater.
Il disco si chiude così come è iniziato, con il tema di Parasomnia, stavolta eseguito in maniera epica e trionfale. 
Ma il disco in realtà non è ancora finito, c'è ancora spazio per un breve e inquietante finale, durante il quale si sente il tema di Parasomnia che torna timidamente a fare capolino, mentre una voce in lontananza ci dice “wake up!”. E mentre il respiro dello Shadowman si fa sempre più vicino, ecco che questa voce, seguita dal suono della sveglia, ci salva dalle grinfie del mostro un attimo prima che riesca a prenderci. L'incubo è finito, l'ennesima notte di paura è terminata… ben sapendo che non sarà l'ultima.

Giovanni "Johnny Bros" Spagnolo




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